Il problema perenne del budget pubblicitario

Ancora una volta vogliamo ritornare sull’entità dell’investimento, un problema che, in mercati recessivi o incerti, rende le notti di ogni piccolo imprenditore vagamente agitate.
Se è relativamente più semplice infatti accedere a dati macroeconomici di settore che consentono previsioni accurate da inserire nella strategia di comunicazione al fine di consentire una determinazione accurata del budget pubblicitario per una grande impresa, non è altrettanto facile per le piccole e medie imprese; o meglio, il costo di tale ricerca è talvolta insostenibile.


Abbiamo quindi provato a immaginare, ben sapendo che peccheremo di superficialità e imprecisione, quale potrebbe essere una giusta misura di investimento in pubblicità per la nostra attività che rientra in questa categoria, sia rispetto agli obiettivi che ai principali competitor.


Diciamo subito che troviamo differenze anche notevoli in dipendenza del settore merceologico in cui l’impresa opera; del fatto che venda ad altre aziende rispetto a quella che hanno come interlocutore il consumatore finale; se è una start up, o comunque si appresta a lanciare un prodotto o un servizio nuovi rispetto a prodotti/servizi consolidati. E infine il “rumore”, quella cosa che riduce l’efficacia della nostra comunicazione poiché i media soffrono di una forte presenza di competitor proprio nel nostro settore: Và da se che contrastare sul piano della visibilità un’impresa che, ad esempio, vende componenti d’arredo e investe in pubblicità oltre il 12% del suo fatturato (a 8 zeri…) è una “mission impossible”.
Se vendete zafferano bio invece, la faccenda è completamente diversa, sempre sul piano del “rumore” pubblicitario.


Ma ecco qualche cifra orientativa.
Nel mondo delle aziende B2C nel settore dei beni di largo consumo si possono osservare investimento anche del 20% del ricavo netto per prodotti consolidati con punte del 50% per prodotti in fase di lancio o promozione.
Nel settore B2B si può scendere anche all’1% del fatturato, lo zoccolo minimo per business consolidati e qualora il fatturato sia consistente anche in termini assoluti e il posizionamento di marca solido.


Per la maggior parte delle aziende una percentuale tra il 5% al 7% delle vendite previste potrebbe essere considerato come investimento medio. Più verso il 5% per le imprese che si trovano ad operare in un mercato non troppo competitivo o in fase di mantenimento del business e fino al 10% le aziende che vogliono incrementare le proprie quote di mercato o desiderano emergere in un mercato più competitivo.
Le start up sembrano invece orientarsi, come è logico che sia, su un maggior sforzo iniziale; più difficile da quantificare in mancanza di fatturato significativo e mirate soprattutto ad attrarre investitori.

Paolo Mander – Titolare di Atlantide